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Valutazione di impatto sociale e addizionalità: tutto è relativo (al contesto)

di Francesco Gerli, Responsabile area valutazione di impatto

Questo articolo introduce una serie di riflessioni sul tema della gestione e della valutazione dell’impatto sociale nei diversi ambiti di ricerca e consulenza Avanzi: dalla gestione e la rigenerazione dello spazio urbano, al settore immobiliare, all’innovazione e l’imprenditorialità. Stay tuned!

La valutazione di impatto sociale sembra oggi trovarsi di fronte a un punto di svolta, che ne richiama il senso ultimo e l’obiettivo primario. Il dibattito sugli strumenti e approcci si orienta infatti su due poli che riflettono visioni diverse di cosa significhi fare valutazione.

Da un lato, in Europa, c’è grande attenzione sugli standard, le metriche e le tassonomie, spesso assenti o tardivi quando si parla di sociale. Imprese, istituzioni finanziarie, professionisti e policymakers riconoscono la necessità di migliorare la comparabilità dei risultati delle valutazioni, come avvenuto per la valutazione di impatto ambientale, che ha permesso un reporting uniforme e la nascita di certificazioni affidabili e facilmente adottabili dalle organizzazioni, a prescindere dal loro contesto di azione.

Dall’altro lato, la valutazione di impatto sociale rimane spesso caratterizzata da approcci “sartoriali”, “cuciti” su singoli contesti organizzativi o progettuali. Lo sviluppo di “teorie del cambiamento” che ricostruiscono la logica di singoli interventi e i loro risultati attesi, la scelta di metodi o indicatori “ad-hoc”, focalizzati per ciascuna organizzazione o progetto, dominano in questo ambito. Questo approccio, pur andando in profondità di progetti e organizzazioni, limita la comparabilità dei risultati e la possibilità di analizzare il risultato andando oltre il singolo report o bilancio di impatto.

Il dualismo “standard vs teoria” lascia quindi scoperto un punto fondamentale che richiama il senso stesso della valutazione di impatto.

Gli interventi e le azioni delle organizzazioni orientate all’impatto sociale si rivolgono ai contesti sociali, territoriali, ambientali ed economici dove i bisogni sono più espliciti e urgenti? Stiamo generando cambiamento dove ce n’è bisogno?

La risposta a queste domande è fornita solo parzialmente dagli approcci “sartoriali” non comparabili e da quelli ispirati agli “standard”- comparabili, ma neutri rispetto alle specificità di contesto. Eppure, questo quesito è essenziale per comprendere se le organizzazioni orientate all’impatto sociale si stiano davvero assumendo il ruolo “politico” di rispondere ai bisogni emergenti nei diversi contesti, laddove forse né l’attore pubblico né il privato for profit da soli opererebbero.

Gli investimenti e gli interventi a impatto sociale si caratterizzano infatti per la loro intenzionalità, cercando esplicitamente, “ex ante”, risultati sociali positivi e misurabili, qualitativamente o quantitativamente (ecco anche la misurabilità). Gli stessi interventi si identificano anche per la dimensione dell’addizionalità, ovvero per la capacità di agire in settori e aree “sottocapitalizzate”, con bisogni sociali, economici, ambientali complessi e con carenza di infrastrutture socio-economiche.

Un intervento educativo infatti, pur simile nelle caratteristiche, non è lo stesso a Città Studi a Milano o nel quartiere Brancaccio a Palermo; supportare l’imprenditorialità giovanile nell’hinterland milanese è diverso dal farlo in un’area interna piemontese: cambiano i beneficiari, i contesti, cambia l’addizionalità.

Pur centrale, l’addizionalità è quindi assente, troppo spesso, nel dibattito sulla misurazione dell’impatto, nel dualismo tra standard asettici ai luoghi e teorie “cucite” sui singoli interventi.

Per fortuna, nella misurazione e rappresentazione dell’addizionalità, del “dove” degli interventi e investimenti a impatto, si aprono importanti spazi di innovazione, anche tecnologica. Una possibile applicazione dell’intelligenza artificiale alla misurazione dell’impatto sociale risiede ad esempio nella creazione di collegamenti tra dati “primari” raccolti dalle organizzazioni e dati secondari disponibili da fonti esterne (come banche dati ISTAT) che rappresentano i trend sociali, economici e ambientali dei diversi contesti.

Il legame tra dati primari e secondari consente quindi una lettura strategica delle valutazioni di impatto, che compara i risultati ottenuti in contesti differenti, senza scadere nella neutralità rispetto ai luoghi, ai settori e alle urgenze, ma relativizzando e pesando i risultati.

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