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Educare con e nella città: scuole e community hub

Educare con e nella città: scuole e community hub

di Matteo Alteri, consultant a|place

Questo testo nasce in seguito al secondo appuntamento del ciclo di incontri “Costruire comunità di apprendimento: dialoghi tra scuola e città”: tre conversazioni, stimolanti e generative, incluse nella cornice del New European Bauhaus che, settimana dopo settimana, hanno arricchito la nostra riflessione sul possibile – e necessario – rapporto tra educazione e città.

Si può vedere la città come dispositivo educante, come soggetto promotore di una nuova visione della pratica educativa. Parte da qui il secondo appuntamento del ciclo di incontri sul New European Bauhaus promosso da Avanzi. L’educare non è più demandato in via esclusiva alle scuole, ma si apre alla pluralità di attori che animano la città, una pluralità capace di promuovere un nuovo rapporto tra le politiche e le pratiche educative e l’eterogeneo ecosistema di risorse che caratterizzano il panorama urbano.

Tra queste risorse, emerge con forza quella dello spazio. La sua etimologia deriva dal latino spatium, derivato di patēre “essere aperto”, ed è in questo senso che intendiamo considerare gli spazi urbani: luoghi che sono aperti ad accogliere; bambini, ragazzi e adulti che, insieme alla città, imparano e stabiliscono relazioni intense e costruttive.

Tali spazi si configurano così come protagonisti delle politiche educative e favoriscono la nascita di comunità di apprendimento capaci di favorire scambi e mutuo apprendimento tra i componenti che le costituiscono e tra i soggetti che esse intercettano, stabilendo circuiti virtuosi di produzione e scambio di conoscenza orientata al saper fare.

In una logica di apprendimento tra pari questi spazi prefigurano un approccio basato sul rendersi capaci a vicenda e si configurano come laboratori di apprendimento che leggono, interpretano e promuovono attività di apprendimento per gli attori che di essi fanno parte e che ad essi si avvicinano.

È in questa cornice che si inseriscono le esperienze presentate durante l’incontro digitale: politiche pubbliche, progetti di rete e community hub che suggeriscono una nuova modalità di intendere la città come corpo docente, come soggetto abilitatore di capacità, competenze e aspirazioni più o meno esplicite e che fanno dell’ecosistema urbano un laboratorio di apprendimento per le comunità che lo abitano.

Quartieri educanti e decolonizzazione del sapere

Anna Moro ricercatrice in Tecnica e Pianificazione Urbanistica presso il Politecnico di Milano, ha presentato la rete locale di soggetti che a Dergano animano il quartiere e che hanno posto in essere un sistema di azioni, attività e pratiche che delineano il profilo di un quartiere educante che, attraverso presidi semplici e spesso informali e pratiche insorgenti nello spazio pubblico, mobilita i soggetti del territorio e costruisce un denso sistema di relazioni intorno a una comunità che progetta insieme e condivide conoscenza.

Il quartiere è infatti caratterizzato dalla presenza di un numero considerevole di soggetti significativi, in particolare associazioni culturali e di promozione sociale, che hanno iniziato ad abitare gli spazi come hub di comunità: luoghi che offrono servizi di vario genere, tra cui esperienze educative, e sono più flessibili di altri spazi del quartiere.

In questa cornice, la rete ha attivato una serie di iniziative leggere legate al tema dell’outdoor education, che intendono l’intero quartiere come spazio dove realizzare attività educative e come movimento di innovazione, strettamente connesso alle relazioni che lo rendono una vera e propria comunità. Si tratta di una comunità capace di lavorare sulla dimensione della conoscenza condivisa e di co-progettare ed inventare nuove modalità di vivere ed apprendere insieme.

Al lato opposto della città, siamo a Chiaravalle, MadreProject accompagna nella riscoperta urbana attraverso un’alta scuola per panificatori che non si limita a formare le capacità tecniche degli apprendisti, ma anche a “fare pane e guardare luoghi come mezzo per diventare progettisti culturali e attivatori di luoghi e in qualche modo costruire cittadinanza del futuro”. L’obiettivo del progetto è quello di fare impresa guardando ai territori, alla loro vocazione e alle loro peculiarità, con un’attenzione alla costruzione di una comunità solida che sia capace di prendersi cura dei luoghi che abita.

«Fare il pane per trasformare i luoghi, costruire comunità, disegnare paesaggi» Andrea Perini, MadreProject

Costruire comunità e trasformare i luoghi è anche l’obiettivo perseguito da OvestLab, che a Modena ha attivato un community hub intorno ai temi dell’arte, della cultura, dell’educazione e del fare insieme.
Attraverso una serie di attività che promuovono un apprendimento nella città, come passeggiate esplorative e laboratori che insegnano a “fare con le proprie mani”, OvestLab costruisce quella che Federica Rocchi ha definito una comunità affettiva ed effettiva. Una comunità che decolonizza il sapere estendendo a soggetti di varia natura, al di fuori del mondo accademico (artigiani, commercianti, ballerini, attori, sarti, etc.), le pratiche dell’insegnamento e dell’apprendimento, in una comunità che si rende capace a vicenda in maniera collaborativa.

«Osiamo riparare manufatti, sentimenti, persone» Federica Rocchi, OvestLab

Di natura pubblica è infine l’ultima esperienza presentata da Susanna Molteni del Comune di Milano, che intende ripensare le scuole come hub di comunità e interpretare l’educazione come una politica urbana. In contrapposizione a un’idea di scuola che invece di ridurre spesso amplia le disuguaglianze sociali e dove l’autonomia rischia di tradursi in isolamento, l’intenzione del Comune è quella di utilizzare il dispositivo dei Patti Educativi di Comunità per attivare le organizzazioni della società civile a collaborare con le scuole per lo sviluppo di iniziative, progetti e programmi educativi capaci di favorire logiche di inclusione e coesione sociale.

 Educare a collaborare

Educare al fare, promuovere comunità coese, includere logiche collaborative nei processi educativi, aprire la città a chi educa e a chi viene educato (in una tensione costante di mutuo apprendimento), favorire lo sviluppo di una città densa di spazi, relazioni, saperi, attori, risorse e competenze: è una prospettiva fertile per sollecitare le intelligenze e le energie sociali che, abilitate a fare, possono suggerire una traiettoria di sviluppo che si ponga in contrapposizione ai processi di impoverimento (economico ma anche relazionale) del substrato sociale che caratterizza le città contemporanee.

Promuovere l’intelligenza del fare presuppone la necessità di affrontare la questione dell’educazione non in maniera settoriale ma necessariamente integrata, favorendo l’attivazione di un ecosistema eterogeneo di luoghi, attori e saperi che, operando insieme e in favore di una pluralità di soggetti, abilitano la generazione di valore e sapere condiviso e favoriscono un incremento del capitale sociale, relazionale e culturale delle comunità.

Nel 1960 B. Russel scriveva che “l’educazione dovrebbe inculcare l’idea che l’umanità è una sola famiglia con interessi comuni. Che di conseguenza la collaborazione è più importante della competizione” (B. Russel, Bertrand Russel dice la sua, Longanesi Edizioni, 1960).
Alla luce di questa considerazione, sorge quasi spontaneo chiedersi: quale miglior modo di educare a collaborare se non quello di educare collaborando?

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