di Luigi Gioja – Impact Finance Consultant a|finance
Le imprese quotate che vengono incluse in indici finanziari legati alla sostenibilità e ai fattori ESG generano rendimenti superiori; al contrario, il mercato punisce chi non si dimostra all’altezza delle sfide della sostenibilità. Permangono però importanti criticità sui meccanismi che regolano l’inclusione e l’esclusione dagli indici ESG, e dunque sulla loro reale efficacia nell’indirizzare investimenti positivi per ambiente e persone.
Nonostante l’ultimo biennio di crescita a rilento, il settore della finanza sostenibile sembra ormai entrato in una fase di definitivo consolidamento: secondo le stime di Bloomberg, si prevede che gli asset ESG a livello globale supereranno la soglia dei 40 mila miliardi di dollari entro il 2030, rappresentando così più del 25% di tutti gli asset finanziari globali.
In questo contesto, gli indici ESG – cioè, indici di borsa che raggruppano le aziende migliori in termini di sostenibilità attraverso elaborati ranking – rappresentano un importante riferimento per investitori e stakeholder che intendono individuare le aziende con più alti rating di sostenibilità. Tanto che l’inserimento o meno all’interno di essi si va profilando come un benchmark sempre più rilevante nel guidare le scelte di chi investe: quando incluse in indici di borsa ESG, le aziende generano rendimenti positivi anomali, cioè, statisticamente diversi dalle aspettative di mercato; al contrario, quando vengono escluse dagli indici ESG, i rendimenti anomali sono negativi.
LO STUDIO E I RISULTATI DELLA RICERCA
Questo è il principale esito di una recente ricerca che ho condotto insieme al Prof. Barontini, ordinario di finanza aziendale presso la Scuola Sant’Anna di Pisa: il mercato interpreta l’inclusione in un indice ESG come segnale positivo sulle prospettive di redditività di un’azienda, acquistandone le azioni e facendone lievitare il prezzo. Il meccanismo è opposto quando le aziende vengono escluse dagli indici di sostenibilità, che vengono dunque penalizzate dagli investitori.
Dallo studio è emerso inoltre come, da un lato, l’effetto premiante (o penalizzante) del mercato risulti amplificato a partire da fine 2015, in concomitanza con la stipula dell’ Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici – evidenziando quindi il ruolo di driver delle politiche pubbliche nell’orientare le preferenze degli investitori; dall’altro, si evidenzia come i rendimenti anomali delle azioni non si esauriscono nel giro di pochi giorni dopo l’evento di ingresso o uscita dall’indice, ma si mantengono anche nel medio periodo (30+ giorni), dimostrando il valore strategico dei fattori ESG per gli investitori.
Dunque, sono due le evidenze chiave della ricerca. Anzitutto, rileviamo la chiara preferenza del mercato per le aziende indicate come più sostenibili. Allo stesso tempo, si evidenzia come gli indici ESG – capaci di influenzare le decisioni di investimento degli operatori – vengano considerati un significativo strumento di benchmark per il mercato. Ma è un benchmark affidabile? Gli indici ESG sono efficaci nell’indirizzare capitali verso imprese più sostenibili?
Questo tema è particolarmente controverso. Normalmente, i criteri secondo cui le aziende quotate possono essere considerate sostenibili e “guadagnarsi” l’ingresso in un indice è pubblica e trasparente. Ciononostante, i fornitori di indici ESG godono di un potere molto ampio nel definire arbitrariamente tali criteri: essi agiscono in assenza di (dis)incentivi o barriere regolamentari solide, capaci di impedire l’impiego di modelli di valutazione parziali o tendenziosi, che potrebbero sfociare in pratiche di greenwashing, se non di veri e propri conflitti di interesse.
Nel 2022, Elon Musk, l’esuberante CEO di Tesla, ha pubblicato un tweet in cui lamentava di come Tesla fosse stata scalzata dalla compagnia petrolifera Exxon nell’indice S&P 500 ESG. Senza entrare nel merito della decisione, sicuramente fa specie vedere uno dei più grossi gruppi del settore Oil & Gas apparire sotto l’etichetta “ESG”. Ancora di più se consideriamo le spese sostenute da Exxon per attività di influenza politica e lobbismo: solo tra il 2020 e il 2023 la cifra supera i 30 milioni di dollari.
LUCI E OMBRE
Quella degli indici ESG costituisce quindi un’area grigia ancora molto poco regolamentata, pur essendo un’industria da decine di milioni di dollari in grado di influenzare i flussi di capitale degli investitori brandendo il vessillo della sostenibilità. Solo l’Unione Europea, con la definizione degli EU Climate benchmark, ha stabilito dei criteri minimi da rispettare per specifiche tipologie di indici a tema clima e ambiente.
Insomma, luci e ombre: da un lato gli investitori premiano le aziende che investono in sostenibilità, le quali vedono crescere il valore delle proprie azioni quando fanno ingresso in un indice ESG; dall’altro, il libero arbitrio dei fornitori di indici ESG lascia più di qualche dubbio sull’affidabilità di uno strumento ampiamente utilizzato dagli operatori finanziari.
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