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Generatori di Cambiamento: partire dal desiderio per ripensare le comunità

Di Giovanni Pizzochero Giulia Moresco, a|discover e a|place

Cos’è una comunità di desiderio e come si impara a lavorare con i territori e con le comunità a partire dal desiderio stesso?

È la domanda che ha guidato il campus Generatori di Cambiamento, alla Casa del Parco di Cevo (BS) dal 26 al 29 ottobre 2023. Un percorso residenziale di co-progettazione e discussione collettiva promosso da Avanzi – Sostenibilità per Azioni per riflettere e apprendere nuovi modi di lavorare a partire dal desiderio, inteso come elemento generativo di comunità e territori.

A muoverci, la volontà di riflettere e mettere alla prova nuovi processi di governance collettiva per la Casa del Parco Adamello, primo spazio di sperimentazione di impatto locale gestito da Avanzi Discover, la “neonata” area (in forma di società benefit) che si occupa di gestione diretta di spazi in grado di liberare energie sul territorio.

Ispirati dai tiers-lieux” francesi che fanno di meccanismi decisionali partecipati un punto chiave per la riappropriazione di beni comuni, intendiamo “restituire” alla comunità della Val Saviore uno spazio pubblico che rappresenta un valore collettivo, radicato nella storia, nel tempo, nello spazio e nella memoria locale.

   

Ad accogliere la sfida una ventina di partecipanti dalle provenienze geografiche, culturali e professionali più diverse: ingegneri e ingegnere ambientali, architette, progettisti e progettiste culturali e sociali, ricercatori e ricercatrici, dalla Puglia al Piemonte, tra i 20 e i 50 anni. Persone alla ricerca di stimoli e letture nuove per interpretare il territorio, arrivati con il desiderio di crescere, mettersi in gioco e aumentare l’impatto del proprio lavoro con le comunità.

Insieme abbiamo lavorato su un concetto “scivoloso”, partendo da un ragionamento semantico sulla differenza tra desiderio e bisogno, interrogandosi sulla possibilità di lavorare con le comunità non solo a partire da una necessità urgente e finita ma anche da una tensione verso qualcosa ancora da conquistare. Un approccio che mette in discussione la logica top-down e ragiona sull’emancipazione e l’agency diretta delle comunità. Un approccio che passa da un desiderio individuale, inteso come strumento di azione e crescita personale, per diventare desiderio collettivo, condiviso all’interno di una comunità di persone che scelgono di riconoscersi in un obiettivo comune e agire insieme per raggiungerlo.

   

Nei quattro giorni di campus abbiamo definito che cos’è il desiderio, come farlo emergere e come negoziarlo con chi ci circonda, al fine di costruirne uno comune. Abbiamo ragionato su quali siano gli elementi che costituiscono le comunità di desiderio ed esplorato il confine e le connessioni tra comunità di desiderio, comunità di pratica e comunità di cura, interrogandoci, in generale, su cosa ci accomuna.

Il decalogo delle comunità di desiderio

Questa esperienza ci ha consentito di intuire gli ingredienti in grado di innescare questa forma di comunità territoriale. Li abbiamo raccolti in una sorta di decalogo:

Le comunità di desiderio emergono intorno a beni “pubblici” (o beni comuni) che spesso catalizzano le battaglie collettive del nostro tempo.

Mettono in atto processi di cura, in modo esplicito, intenzionale e reciproco: una comunità di desiderio vive solo se l’utilità collettiva supera e sopravvive a quella individuale, se la responsabilità è partecipata e si esplicita in un patto condiviso il cui obiettivo è la creazione di impatto.

I riti e simboli ne scandiscono la vita, attraverso momenti assembleari, tradizioni condivise e feste (la gioia e il piacere ne sono elementi essenziali).

Le comunità di desiderio si ancorano alla memoria collettiva e alla tradizione: il desiderio modella la comunità con il suo portato storico-politico e costruisce nuove memorie, basate sui percorsi comuni intrapresi.

Si alimentano con il saper fare, lo condividono e lo mettono alla prova in una sorta di comunità educante che si consolida attraverso la pratica.

Sono una pratica di resistenza, che genera “abitanza” – per citare Giovanni Teneggi, esperto di imprese cooperative e comunitarie- ovvero un nuovo modo di vivere e “restare” nelle aree a bassa densità relazionale (come quelle di media montagna).

Sono situate nel tempo, passato – presente – futuro, e nello spazio: non solo quello che ne legittima l’esistenza, ma anche lo spazio geografico che le accoglie, spesso posto sul confine, inteso come cum-finis, ovvero “un fine comune” –  parafrasando stavolta Mauro Varotto, autore del libro “Montagne di mezzo”.

Hanno bisogno di immaginazione per alimentarsi e fecondarsi, un’immaginazione che non teme di lavorare “sul limite” per plasmarlo e definirlo, perché il desiderio è limes, e come tale “fame di infinito”.

Rendono esplicita la somma dei corpi che ne fanno parte perché il desiderio non può esistere fuori da una dimensione fisica e di contatto. È per questo che non parliamo di intelligenza collettiva bensì di “corpo collettivo”.

Sono comunità che si alimentano di un equilibrio in costante movimento, poiché operano attorno a un concetto mutevole (come può essere quello di desiderio) ed esistono in una dinamica processuale di continua messa in discussione e rinegoziazione.

L’“eredità” del campus

Per noi il Campus è stato un’occasione importante di messa in discussione, di ripensamento, di ridefinizione di come stare su un territorio, di come leggerlo, interpretarlo, di come aprire nuovi spazi di possibilità.
Un’occasione di immersione totalizzante in una piccola comunità di desiderio composta dai relatori e le relatrici ma soprattutto dalle persone che hanno sperimentato insieme a noi, condividendo preziosi punti di vista, mettendosi in gioco e contribuendo a disegnare una lettura possibile dei territori che è solo l’inizio di una stimolante traiettoria di futuro.

Per raccontarvi di più, stiamo preparando una pubblicazione sul tema in cui raccoglieremo le esperienze del gruppo di lavoro di Generatori di Cambiamento e non solo!

Generatori di Cambiamento è il Campus curato da Avanzi e Casa del Parco dell’Adamello. Un percorso di scambio, contaminazione e confronto tra pari, per ragionare sul futuro dei territori.

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