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Imprese e diritti umani: Due Diligence obbligatoria? Bruxelles cambia passo

Di Marica Biancotti, consultant di a|change e Fulvio Rossi, senior advisor

Nella proposta di Direttiva della Ue su Corporate Sustainability Due Diligence c’è la possibilità di rendere più completa ed effettiva la normativa rispetto al grande tema dei Diritti Umani. Avanzi e Legance – Avvocati Associati hanno promosso un momento di confronto e informazione, che ha portato a un progetto di Osservatorio permanente.

Oggi le imprese, specialmente quelle multinazionali con catene lunghe e complesse, effettuano due diligence sui diritti umani su base volontaria, basate sui principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani (PGNU) e altri strumenti come le linee guida dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE) destinate alle imprese multinazionali e la dichiarazione sulle imprese multinazionali dell’OIL.

Nonostante queste iniziative, di fatto le violazioni dei diritti umani, compresi i diritti dei lavoratori e i diritti sindacali, continuano ad essere in molti casi una conseguenza negativa delle attività delle imprese, spesso multinazionali, specialmente nelle loro catene di approvvigionamento e di subappalto. [1]

L’approvazione della proposta di Direttiva renderebbe obbligatorio per molte imprese quello che oggi è pratica volontaria di poche, introducendo l’obbligo di svolgere una due diligence sui rischi potenziali ed effettivi a livello di diritti umani e ambiente “riguardo alle proprie operazioni, le operazioni delle proprie controllate, e le operazioni all’interno della propria catena del valore svolte da soggetti con cui l’azienda ha una relazione commerciale stabile”.

Anche in ambito Business e Human Rights stiamo dunque assistendo al passaggio da forme di autodisciplina, assunte su base volontaria, a misure cogenti, che impattano e impatteranno sempre più su attività non solo di impresa, ma anche di investimento e di gestione del risparmio. Le implicazioni sono tali da imporre un tempestivo adeguamento al nuovo contesto normativo e di mercato da parte degli operatori, del legislatore nazionale, dei policy makers e della comunità degli stakeholder.

Il motivo della scelta europea di introdurre una due diligence obbligatoria è di fare in modo che gli effetti sociali positivi dell’attività d’impresa (occupazione, sviluppo) non siano controbilanciati dalla violazione di diritti umani, in particolare di quelli legati al lavoro (lavoro minorile, lavoro forzato, salute e sicurezza, diritti sindacali) e alle comunità locali, e di rendere le imprese europee  più robuste in questo aspetto della gestione. Per quanto limitata alla giurisdizione europea, l’iniziativa è particolarmente pervasiva perché riguarda le imprese con sede giuridica in UE, le imprese controllate e i partner commerciali ovunque dislocati (anche extra UE).

Per questo, insieme allo studio Legance – Avvocati Associati come Avanzi abbiamo promosso il 21 giugno scorso un momento di riflessione, a Milano e contemporaneamente a Roma, sul tema “Imprese e Diritti Umani – Normativa europea, impresa e transizione sostenibile”. Una discussione fra professionisti e imprese che potesse riprendere alcuni aspetti relativi alla proposta di Direttiva su Corporate Sustainability Due Diligence (COM (2022) 71), di recente approvazione da parte della Commissione UE.

La proposta è l’ultima tappa di un percorso avviato da tempo, che si inserisce in un quadro normativo europeo ben più complesso ed evoluto. Attraverso l’evento abbiamo voluto affrontare la questione della due diligence – che riguarda sia i diritti umani sia l’ambiente – concentrando l’attenzione sul tema di Business e Human Rights, abbracciando aspetti giuridici, applicativi, di best practice ed eventuali ostacoli attraverso un dialogo dinamico con vari portatori di interessi.

Il dibattito in corso

La proposta di Direttiva va nella direzione dell’applicazione cogente di alcuni elementi contenuti nei Principi Guida delle Nazioni Unite su Imprese e Diritti Umani, che dal 2011 definiscono le responsabilità dei governi e quelle delle imprese, attraverso i pilastri “PROTECT-RESPECT-REMEDY”.

Il dibattito sulla proposta è vivace. Sono moltissimi gli interessi e le forze in gioco, ogni attore coinvolto e/o potenzialmente impattato sta portando avanti la propria attività di lobby e di interlocuzione con le istituzioni europee per ottenere la miglior proposta di testo possibile. Il rischio, come a volte accade sui temi particolarmente complessi, è di depotenziare il testo, in modo da far convergere il pluralismo di interessi in seno al Parlamento europeo sull’approvazione della Direttiva. Alcuni punti critici, emersi nel corso dell’evento del 21 giugno scorso, riguardano ad esempio:

  • il perimetro di applicazione, con le PMI formalmente escluse dall’obbligo, ma di fatto implicate a cascata dalle grandi imprese, attraverso il ricorso a clausole contrattuali – potenzialmente gravose – imposte da queste per prevenire il rischio di violazione dei diritti umani;
  • la restrizione dei diritti umani da considerare nella due diligence, ritenuta da alcuni piuttosto riduttiva;
  • il concetto di relazione commerciale rilevante (established business relationship), di cui occorre declinare pragmaticamente il significato per eseguire una corretta due diligence lungo la catena del valore;
  • l’accesso alla giustizia e alla possibilità di rimedio, definiti a livello formale ma spesso difficoltosi a livello sostanziale.

Rischi e opportunità per le imprese

Di pari passo con l’introduzione di obblighi giuridicamente vincolanti la proposta di Direttiva prevede la responsabilità civile delle imprese rispetto agli eventuali abusi sui diritti umani. Le imprese, quindi,  dovranno rispondere dei danni causati. E decisiva, in tal senso, è la corretta esecuzione della due diligence e la predisposizione di adeguate misure di prevenzione e mitigazione del rischio di violazione dei diritti umani.

È evidente come l’evoluzione giuridica che seguirà sarà di enorme rilievo: attraverso questa Direttiva, per come è formulata ad oggi, si potrebbe infatti stabilire il controllo delle imprese e della filiera a livello internazionale, superando di fatto il vincolo dell’applicazione extraterritoriale del diritto europeo e dei singoli Stati, che andrebbe ad applicarsi anche in stati extra-UE.

La Commissione europea ha condotto una consultazione pubblica sulla governance sostenibile delle imprese nella quale la maggioranza delle imprese ha espresso il sostegno all’adozione di uno strumento legale che prescriva obblighi riguardanti la due diligence ESG. Infatti, questo dovrebbe portare alla prevenzione del rischio reputazionale per le stesse imprese, particolarmente accresciuto dall’attenzione degli investitori agli aspetti ESG e dal richiamo al rispetto dei diritti umani anche all’interno del Regolamento Tassonomia. Inoltre, l’imposizione di regole valide per tutti non inciderebbe (almeno all’interno dell’Europa) sulle condizioni di competitività relativa.

Quanto al ruolo degli investitori, è stato a più riprese sottolineato come il sistema finanziario stia andando nella direzione di definire e circoscrivere tutto ciò che costituisce un investimento sostenibile dal punto di vista ambientale (Tassonomia europea), ma anche dal punto di vista sociale (studio in corso sulla Tassonomia Sociale), rispetto al quale il principio “do not harm” potrebbe rappresentare, a tendere, solo la soglia minima accettabile.

Le imprese intervenute all’evento, Webuild e Illycaffè, hanno presentato i loro approcci di due diligence volontaria in due settori considerati strutturalmente a rischio, rispettivamente la filiera agro-alimentare e le costruzioni, caratterizzati da catene di fornitura lunghe e dalla presenza di attività e fornitori in Paesi in Via di Sviluppo. Le pratiche presentate sono in linea con quanto fanno le aziende che oggi sono considerate best in class, ossia:

  • adozione di codici e le politiche interne rivolti alla salvaguardia dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori;
  • implementazione di misure di prevenzione nei confronti della catena del valore quali lo screening dei fornitori in base a criteri ESG e le certificazioni esterne, l’adesione al codice etico e/o a un codice di comportamento dedicato, la firma di contratti che prevedano clausole dedicate al rispetto dei diritti umani pena la risoluzione/sospensione del contratto;
  • attività di audit sui fornitori sul rispetto delle condizioni concordate;
  • attività di sensibilizzazione e formazione dei principali fornitori e di eventuali sub-appaltatori;
  • le attività di ascolto a cui segue l’offerta di servizi di welfare che risolvano bisogni specifici a livello locale, che costituiscano attività di prevenzione di violazioni.

La necessità di un dialogo democratico multistakeholder

I principi guida dell’ONU su Impresa e Diritti Umani parlano piuttosto chiaro riguardo al “come” le imprese debbano portare avanti la loro due diligence, ossia attraverso il dialogo diretto con le persone e le comunità che potrebbero essere impattate dalle loro attività, in un continuo processo di ingaggio e follow up.

Nel corso dell’evento è stato sottolineato come il ruolo degli stakeholder, in particolare attraverso il coinvolgimento dei lavoratori e delle comunità locali, debba essere ampliato per inserire nel processo di due diligence un dialogo tra le parti. Nella proposta di Direttiva, il coinvolgimento degli stakeholder è limitato al ruolo di denuncia, che specialmente nelle catene del valore molto frammentate e in cui c’è difficoltà di partecipazione e di accesso alle informazioni, non può essere ritenuto realmente incisivo. In questo senso, le ONG locali potrebbero o essere un valido alleato sul territorio per il monitoraggio della catena di fornitura, di eventuali violazioni e anche eventualmente per potenziare i meccanismi di prevenzione.

Quanto è emerso dall’evento conferma che il tema Business and Human Rights richiede approfondimenti e che le imprese saranno chiamate a un importante sforzo di adeguamento alla Direttiva. 

Noi di Avanzi ci impegniamo a favorire lo sviluppo di un dialogo inclusivo su questi temi, promuovendo e coordinando la costituzione di un osservatorio istituzionale permanente per monitorare a livello nazionale come il mondo delle imprese presidia il tema dei diritti umani. L’osservatorio sarà un hub di informazioni su approcci e buone pratiche e un laboratorio di scambio per imprese, soggetti e voci che hanno interessi diversi. L’obiettivo è tenere alta l’attenzione sul tema attraverso un’intensa attività di ricerca e monitoraggio, facilitando la costruzione di reti.

Note
Note
1[1] Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Catene di approvvigionamento sostenibili e lavoro dignitoso nel commercio internazionale
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