Di Davide Dal Maso, partner Avanzi
Le compensazioni di CO2 sono uno strumento, anche utile. Ma quello che ci serve è una transizione che sappia affrontare con forza e coerenza il problema alla base.
Nei giorni scorsi, abbiamo pubblicato un post sulla nostra scelta di compensare le emissioni di CO2 prodotte dalla nostra attività. Questa decisione ha indotto qualche reazione stupita: “Ma come, anche voi di Avanzi assecondate questa deriva?” Allora, per evitare equivoci, abbiamo pensato di chiarire meglio il nostro pensiero.
Per come la vediamo noi, la compensazione non è la soluzione del problema. Può essere una parte della soluzione, ma certamente non l’unica e neanche la principale. Per decarbonizzare, occorre ridurre le emissioni. Su questo, non abbiamo dubbi.
Nel nostro caso specifico, una volta fatto l’inventario, è emerso abbastanza chiaramente che le componenti principali della nostra impronta carbonica derivano da attività su cui abbiamo un controllo solo parziale: non siamo proprietari dell’edificio in cui lavoriamo e non possiamo intervenire su infrastrutture e impianti. Su tutto il resto, ci stiamo dando un piano di azione, con obiettivi e strumenti.
Nel mentre, per non rimanere inattivi, abbiamo deciso di fare un’operazione di compensazione – che però non è e non deve essere interpretato come un alibi per evitare di affrontare il problema vero che, come detto, è l’altro.
C’è stato, come sempre da queste parti, un acceso dibattito interno. Francesca Bongiovanni, nostra collega, scriveva nella chat aziendale: «Si tratta di un primo passo: per l’anno prossimo, prevediamo di ragionare in maniera strutturale sulla nostra impronta, cercando di capire gli ambiti nel quale è possibile ridurla, e avviando una riflessione interna sul nostro modo di trasformare alcuni aspetti del nostro stile di vita. Alcuni cambiamenti indotti dalla pandemia, sia nella mentalità, sia nelle pratiche, sono già in corso, offrendo punti di partenza per operazioni più sostenibili in futuro».
La compensazione per crediti, che risulta necessario per il progetto cambogiano che abbiamo scelto come destinatario della nostra azione (un progetto che esiste in base al sistema dei crediti stessi) vuol essere un primo segnale concreto di un percorso che certamente non si ferma qui. È lo striscione della partenza, non quello dell’arrivo.
Lo abbiamo scritto: non basta lo sforzo individuale se non struttureremo una politica condivisa che più che compensare vada a eliminare le cause della compensazione. Difficile? Certo, ma possibile. Per questo aver messo nero su bianco l’impronta climatica significa iniziare una strategia di azioni che ci rendano sempre più liberi dalla Co2 che produciamo, e nel contempo riuscire a partecipare a un progetto non solo di riforestazione, ma di sviluppo sociale in Cambogia, se pur con il meccanismo dei crediti compensativi, ha un suo senso e dignità.
Una sfida. La misureremo non solo nella cadenza annuale, ma su un medio periodo e favorendo un dibattito necessario in un momento storico in cui le nostre intelligenze collettive sono chiamate a strutturare sistemi alternativi e ad affrontare scelte radicali a favore di una transizione climatica che sia una transizione giusta.
Ps. per i non addetti ai lavori: il credito di carbonio è un’unità di carattere finanziario che rappresenta la rimozione di una tonnellata di CO2e (CO2 equivalente) dall’atmosfera. Si ottiene attraverso progetti che evitano, riducono o sequestrano gas a effetto serra e può essere acquistata come mezzo per compensare appunto le emissioni di aziende. Il mercato che si è formato, sostenuto dai grandi emettitori a livello globale, esprime anche dei rischi e può portare ad una deriva quasi paradossale, se non viene inquadrato in una strategia chiara.