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Materialità territoriale: trasformare il tempo sospeso in valore condiviso

di Francesco Gerli, Responsabile area valutazione di impatto e Marco Boccardi, Consulente senior a|change

Con il meccanismo europeo di “stop the clock” le imprese possono rallentare gli adempimenti, ma anche scegliere di approfondire la propria strategia di sostenibilità, di “andare in profondità”. Oggi più che mai, per molte imprese, leggere i contesti territoriali è la chiave per generare impatti autentici, differenzianti e coerenti con il proprio posizionamento.

Con l’approvazione del primo pacchetto Omnibus, la Commissione Europea ha introdotto un meccanismo temporaneo di sospensione (“stop the clock”) di alcune richieste regolatorie in materia di sostenibilità. L’obiettivo dichiarato è duplice: alleggerire la pressione normativa e garantire certezza giuridica alle imprese nel percorso di adeguamento agli standard ESG.

In questo spazio di rallentamento (o di marcia indietro) sulla sostenibilità, le imprese potrebbero limitarsi ad aspettare.

Oppure, se davvero guidate da un purpose profondo, da una missione intenzionalmente orientata alla sostenibilità, possono scegliere di “reinvestire” l’onere della rendicontazione in qualcosa di diverso e lungimirante in ottica strategica: andare in profondità, comprendere i contesti in cui operano, costruire una sostenibilità capace di rafforzare legittimità, impatto e relazione con le comunità locali. La materialità territoriale rappresenta una sfida e una risposta concreta a questa esigenza: un approccio che in Avanzi stiamo sperimentando.

DAL REPORTING ALLA RILEVANZA: PERCHÉ SERVE UNA NUOVA PROSPETTIVA

L’analisi di materialità, nel suo tentativo di identificare cosa è rilevante per l’azienda e per i propri stakeholder, è da sempre l’elemento cardine del reporting di sostenibilità. Una liturgia che negli ultimi anni ha visto la sua metodologia orientarsi verso il concetto di “impatto” e che ha trovato la sua più recente, completa nonché complessa formula negli Standard ESRS, che guidano le imprese nel processo di rendiconto così come richiesto dalla Corporate Sustainability Reporting Directive. Si è quindi arrivati alla cosiddetta “doppia materialità”, che chiede alle imprese di identificare sia gli “impatti generati” che quelli “subiti” dal proprio business (in negativo e in positivo). Nonostante gli standard promuovano una disaggregazione delle informazioni per “luogo significativo”, quando gli IRO [1] rilevanti “sono molto dipendenti da uno specifico luogo” [2], l’analisi di materialità aziendale resta, nella maggior parte dei casi, a un livello alto e generale, perdendo il legame con le specificità dei diversi contesti – non solo di mercato, ma anche territoriali – in cui le imprese operano.

La materialità territoriale permette di colmare questo scarto, riconoscendo che i temi prioritari e le opportunità di creazione di valore non sono gli stessi in ogni contesto.
Costruire un’analisi di materialità territoriale rappresenta dunque un approccio che consente alle imprese di riconoscere quei tratti identitari di luoghi e comunità che abilitano a radicare localmente le strategie di sostenibilità, rendendole “proprie”; di identificare azioni mirate e contestuali; di rafforzare il proprio posizionamento come attore trasformativo dei territori.

UN PROCESSO CONCRETO, ADATTABILE E SCALABILE

L’analisi di materialità territoriale non è un mero esercizio teorico. Per noi è un processo pratico, articolato in fasi successive, replicabili e adattabili a contesti diversi. Si tratta, in sostanza, di sovrapporre due livelli di analisi – quello aziendale e quello territoriale – in modo da far emergere da un lato la tangenza tra le caratteristiche locali e gli interessi aziendali, dall’altro quegli ambiti che non sono presidiati dall’attività aziendale e che rappresentano opportunità di sviluppo condiviso.

La materialità, quella convenzionale, rappresenta il primo riferimento per recuperare i macro-temi strategici rilevanti (clima, persone, risorse, inclusione …) e le priorità in termini di IRO che restituiscono un quadro consolidato e complessivo delle attenzioni aziendali.

Questi vengono poi contestualizzati nei territori in cui l’impresa opera. Attraverso dati socio-economici, ambientali, demografici e culturali, si ricostruiscono i contesti locali. L’analisi si arricchisce con una mappatura degli stakeholder, delle priorità espresse, delle risorse disponibili, delle vulnerabilità e dei bisogni latenti, attraverso un vero e proprio processo di stakeholder engagement territoriale: mettendosi in ascolto.

I temi aziendali vengono quindi messi a confronto con le evidenze territoriali, costruendo una matrice che evidenzia convergenze e divergenze tra ciò che è rilevante per il territorio e per l’azienda. Questa matrice, frutto di un processo multiattore, diventa una bussola per la definizione di azioni prioritarie locali e per l’adattamento della strategia aziendale ai territori.
Sulla base delle priorità emerse, si valorizzano i risultati e si sviluppano interventi localizzati e coerenti, che tengano insieme gli obiettivi aziendali e il valore per il territorio. L’azione non è più generica, ma proporzionata, mirata e misurabile.

L’ADDIZIONALITÀ DEL VALORE GENERATO

Un aspetto particolarmente interessante dell’approccio territoriale è la possibilità di introdurre un ulteriore livello di lettura: quello dell’addizionalità, intesa come valore aggiunto generato nel territorio.

L’addizionalità territoriale può essere considerata come un elemento valutativo da applicare a singole iniziative, progetti o programmi, per stimarne l’effettivo contributo in un contesto specifico.

Attraverso l’analisi combinata di dati di performance e dati di contesto, è possibile comprendere meglio quanto un’iniziativa rafforzi realmente il territorio, in relazione alla sua dotazione di risorse, alle vulnerabilità presenti e alle opportunità di sviluppo. L’addizionalità territoriale comporta quindi l’esercizio di “pesare” i risultati in base alle specificità del contesto locale.

In sintesi: non si tratta solo di fare bene, ma di fare meglio lì dove conta di più. Questo approccio differenzia l’azione d’impresa, attribuendole una capacità generativa non replicabile ovunque, ma unica e significativa.

In conclusione, in un momento in cui molte imprese stanno “mettendo in pausa” il proprio percorso di responsabilità ESG, puntare sulla materialità territoriale significa non sprecare tempo, ma prepararsi con più intelligenza e profondità alla generazione di valore condiviso.

È una scelta di coerenza, ma anche di posizionamento strategico: perché nell’epoca delle policrisi “nessuno si salva da solo”: non vince chi si adegua per obbligo, ma chi sceglie intenzionalmente di agire con senso e con radici ben salde.

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Note:

[1] Impatti, rischi e opportunità
[2] ESRS 1, 3.7, 54 b

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