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Prospettive radicali e traiettorie collettive – L’esperienza della Casa del Parco Adamello

di Carlotta Roma, a|discover

«La marginalità è un luogo radicale di possibilità, uno spazio di resistenza.

Un luogo capace di offrirci la condizione di una prospettiva radicale

da cui guardare, creare, immaginare alternative e nuovi mondi».

bell hooks, “Insegnare Comunità: Una pedagogia della speranza”

Siamo a Cevo (BS), un paese di 800 abitanti in media montagna da pochi giorni inserito nella SNAI – Strategia Nazionale Aree Interne.

C’è un forno, una macelleria, qualche agriturismo che d’inverno è aperto solo il sabato, nessuna guardia medica, un panorama da mozzare il fiato.

Un paese che entra perfettamente nell’immaginario dei borghi italiani: luoghi idealizzati, lontano da tutto e da tuttə, perfetti per scappare dal caos metropolitano e tornare a provare l’emozione della “vita vera”, autentica. Ideali per gite fuori porta, fughe dalla città e smart working; ideali per essere candidati ad un bando che vuole valorizzare le eccellenze (isolate) del nostro territorio ad uso e consumo di chi è di passaggio. Una narrazione intrisa di retoriche capitaliste e turistico-centriche, prive di complessità e stratificazioni, che annullano l’autonomia, la memoria e la resistenza di queste terre alte.

Letture che finiscono per marginalizzare lo sguardo profondo e radicato, ricco di memoria, della “coscienza di luogo”, per privilegiare quello del turista di passaggio che cerca curiosità e ristoranti [1] lontano dallo scorrere della quotidianità e del contesto reale.

Cevo non è un borgo e non appartiene a questo immaginario.

É un piccolo paese normale e ordinario dove poco accade e poco succede, come nella stragrande maggioranza del territorio italiano; un luogo lontano da una società che cresce e si sviluppa nelle città (o nel fondo valle in questo caso), distante dai principali centri di servizi pubblici e, spesso, lasciato a se stesso. Un paese a 1100m con strade quasi sempre vuote, molte case disabitate, una scuola elementare e un oratorio. Un paese che a prima lettura appare fragile, in cui al declino demografico fa seguito la mancanza di presidi sanitari, la chiusura di attività commerciali, l’assenza senza scusanti di mobilità da e verso il centro valle e, per questo, la difficoltà di accesso alla formazione.

Ma Cevo in realtà non è fragile.

É una terra dura, abitata da una comunità resiliente e creativa che, con una potenza nascosta e disarmante, resiste al progressivo depauperamento dei servizi, senza aspettare che il mondo cambi ma cercando da sé le condizioni per cambiare rotta.

 
La Casa del Parco Adamello

Ed è in questo contesto che si inserisce la Casa del Parco Adamello, uno spazio nato non tanto e non solo per rispondere ai bisogni del territorio ma per nutrire ed essere nutrito dalle aspirazioni delle comunità che lo abitano. Uno spazio aperto, uno spazio vivo: una piattaforma di pensiero e azione che sta diventando capace di aggregare e moltiplicare idee e ambizioni, rendendo il personale politico [2]. Un luogo di sperimentazione e immaginazione per chi ha deciso di restare (o tornare) a Cevo ma anche per chi, di queste aree, percepisce il potenziale generativo e trasformativo.

In questi primi mesi la Casa ha accolto voci, creato discussioni, stimolato pensieri e immaginato scenari futuri. Ha radunato corpi, rumori, musiche e parole e li ha intrecciati insieme.
Ha provato ad immaginare strategie per innescare cambiamenti che, partendo da Cevo, possano moltiplicarsi con audacia nella moltitudine di piccoli paesi sparsi per l’Italia che ostinatamente e neo-romanticamente chiamiamo borghi.

 

A noi sono bastati pochi mesi di gestione della Casa per accorgerci che questo luogo sta offrendo una prospettiva radicale da cui immaginare nuovi futuri e grazie alla quale trasformare intuizioni individuali in traiettorie collettive, facendoci spostare l’azione da una dimensione specifica ad una dimensione poliedrica, in cui le questioni sociali, ambientali ed economiche si intrecciano per diventare matassa unica.
Per questo immaginiamo la Casa del Parco di Cevo non come uno spazio privato ma come luogo (per sua natura) pubblico, in cui la comunità possa sperimentare azioni di cura collettiva, re-inventando nuovi modi di abitare e di relazionarsi, con se stessa, con gli altri e con la Terra. Una piattaforma di incontro e scontro che possa far incontrare il pensiero locale con il pensiero globale, trasformando progetti e intuizioni in veicoli di innovazione.

Una palestra per fare, in cui chi si mette in gioco sa di non poter prescindere da pratiche e saperi situati [3], radicati nel territorio e strapieni di semplice quotidianità.

In questo primo anno di gestione sono state poste le basi, ma saranno i prossimi otto anni a dirci se siamo statə in grado di contribuire a proteggere questo  luogo e, al contempo, coltivarlo e provocarlo.

La gestione della Casa del Parco Adamello rientra nell’azione del nuovo veicolo di impresa di Avanzi (Avanzi Discover s.r.l. SB) finalizzato all’ideazione, sviluppo e realizzazione di iniziative, programmi e progetti volti a promuovere la rigenerazione territoriale e a valorizzare risorse ed energie locali attraverso l’attivazione di immobili dismessi e/o sottoutilizzati pubblici o privati. Una piattaforma che, attraverso la gestione diretta di spazi, vuole promuovere un modello integrato, un’impresa di territorio, capace di generare contemporaneamente valore sociale ed economico, da redistribuire presso le aree in cui opera. 

Nello specifico, la Casa del Parco Adamello di proprietà di Comunità Montana di Valle Camonica, è stata affidata in gestione – tramite avviso pubblico – ad Avanzi Discover per un periodo di nove anni. 

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Note:

[1] Paolo Clemente “Chiamiamoli paesi, non borghi” in “Contro i Borghi”, 2022
[2] Nel 1970 la femminista Carol Hanisch scriveva “I problemi personali sono problemi Politici. Non ci sono soluzioni personali in questo momento. C’è solo un’azione collettiva per una soluzione collettiva.” In questo contesto l’espressione Il personale è politico viene usata per reclamare la necessità di una prospettiva collettiva, in cui le persone vedano le proprie esperienze individuali come indissolubilmente legate ad un contesto sociale, politico, economico e storico. Affermare che il personale è politico significa comprendere la necessità, per rimuovere problemi e conflitti, di un’azione sociale e politica.
[3] Haraway, 1988

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