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“Rallentiamo la moda”. La lettera di Armani che accende il dibattito, anche in Avanzi

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Una lettera accorata, un tono semplice, parole dirette. Giorgio Armani lancia un messaggio in piena quarantena da Covid 19 e le reazioni sono immediate. Le parole sono arrivate dopo alcuni interventi che hanno fatto notizia: la donazione di due milioni di euro per la ricerca, la conversione di tutti gli impianti italiani nella produzione di camici monouso destinata alla sicurezza degli operatori sanitari. Poi la lettera aperta agli americani, pubblicata sul magazine WWD.

“Non è abbastanza”. Lucia Pasquadibisceglie

Non è abbastanza. 
I proclami sono solenni e sfavillanti ma questo non è il tempo dei lustrini e degli ultimi dettagli prima di salire in passerella. 
È il tempo di tornare indietro e riguardare tutto dal principio. Capire da dove siamo partiti, dove siamo e – soprattutto – dove vogliamo andare.
Dobbiamo tornare nei campi dove si produce il cotone e guardare il viso di quegli operai per esser certi che stiano bene, che stiano guadagnando abbastanza, che nessuno abusi della loro posizione di svantaggio, spesso perché nati nella parte meno ricca del mondo. 
Dobbiamo andare nei laboratori, dove si usano sostanze che possono essere tossiche e verificare che ogni misura di sicurezza sia stata presa. 
Passare nei reparti in cui si confezionano i capi, esser certi che ogni persona lavori nel rispetto dei propri diritti, in un ambiente salubre, con ritmi umani.
Seguire poi quella maglia, vestito, pantalone in tutta la sua catena logistica. Come viene trasportato? Che mezzo scegliamo? Da quanto lontano viene? Chi si occuperà di portarlo nei negozi? Che contratto di lavoro ha il nostro spedizioniere? E nel negozio, che avviene? Chi sono i miei addetti alla vendita? È strettamente necessario che lavorino anche la domenica? Non bastano sei giorni alla settimana dedicati al culto del dio dello shopping?

Le belle parole riscaldano i cuori e lo spirito delle anime in pigiama che, per occupare il tempo di questa quarantena, sfogliano riviste patinate. Ma siamo davvero pronti a far seguire alle parole ardite, scelte coraggiose? 
A non occuparci (e preoccuparci) solo dei lustrini ma anche del cotone? Il cambiamento non può più aspettare e non può oggi solo graffiare la superficie. Deve andare in profondità, cambiare il sistema nel suo complesso. O, ancora una volta, nulla sarà cambiato.

“Quello di Armani è un colpo d’ali”. Matteo Bartolomeo

Forse sono ingenuo o semplicemente un inguaribile ottimista, ma nel testo della lettera di Giorgio Armani ho trovato sincerità e ho trovato una persona, non necessariamente un’azienda, con delle riflessioni non banali. 

Ho trovato soprattutto un urlo. Il momento è difficile, ma siamo anche nella quarantena di pensieri alti, il tempo che viviamo è chiamato spesso di sospensione, a evocare una prossima caduta o un colpo d’ali. Io prendo il colpo d’ali. 

Armani forse ci suggerisce: se non ora quando. E quanti di noi stanno pensando la stessa cosa? Ho quindi trovato nelle parole di Armani quella voglia di cogliere l’attimo, di dire le cose che in altri momenti non si riescono a dire, con la consapevolezza che qualcuno è in ascolto, sintonizzato sul canale “cambiamo?”. 
Si dirà: Armani è in una condizione privilegiata, ha costruito un impero, ha tirato fuori dalla vita qualche soddisfazione, magari avvantaggiandosi della posizione di leadership sui mercati e nelle filiere, ha un’età in cui probabilmente non riuscirà a vedere gli effetti di lungo periodo del cambiamento che evoca. 
È giusto quindi che questo appello lo lanci proprio Armani? E con che faccia l’industria della moda si fa paladina della decelerazione? Qualcuno ci sta proponendo una minestra riscaldata di sentimenti buoni, in un momento in cui siamo particolarmente sensibili proprio a quei messaggi? Oggi non mi faccio questa domanda. 

Non intendo soffocare sul nascere ogni ripensamento, ogni passo in avanti, ogni tensione morale, anche se proveniente da parte di chi è parte di un certo sistema. 
Ho visto attaccare ferocemente, talvolta in maniera disgustosa, anche la piccola Greta, giudicata non sufficientemente pura. Barak Obama, in alcune sue ultime uscite pubbliche, stigmatizza l’atteggiamento troppo giudicante che blocca il cambiamento: “I get a sense among certain young people on social media that the way of making change is to be as judgemental as possible about other people”. “If I tweet or hashtag about how you didn’t do something right or used the wrong verb, then I can sit back and feel pretty good about myself because ‘Man did you see how woke I was? I called you out!'”. 

E dice anche, mia personale interpretazione: il mondo è un gran casino, un groviglio di contraddizioni che non si risolvono con un taglio di forbici.

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