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Riflessioni inevitabili su un futuro imprevedibile

Riflessioni inevitabili su un futuro imprevedibile

di Davide Dal Maso

U na delle cose più divertenti che ho incrociato in questi mesi drammatici è la vignetta circolata in rete di uno pseudo album Panini con le figurine dei virologi più in voga, ironizzando sul fatto che noi Italiani, a seconda del tema del momento, ci improvvisiamo esperti di qualsiasi materia, ci schieriamo in fazioni capitanate da un leader (talvolta inconsapevole) e discettiamo di vaccini, centravanti, spread, Medioriente o viadotti.

Mi aspetto perciò che esca anche l’album dei futurologi, perché, diciamolo, sulle previsioni a proposito del “mondo post Covid” si sono esercitati proprio in tanti.
E quindi, che facciamo, ci uniamo pure noi di Avanzi al gruppone degli oracoli dilettanti e vaticiniamo i nostri bravi pronostici? (A proposito, è un’impressione o questo inizio d’anno non si sono visti/sentiti gli oroscopi per il 2021? Astrologi categoria in grossa crisi).
Mmmh, la tentazione del silenzio è forte: quando tutti parlano di cose di cui non si sa, forse si fa più bella figura a star zitti, no?

E invece no, non ce la si fa. Pensare al futuro è inevitabile; è quasi una necessità. Chiusi tra le mura di casa, sentiamo tutti, credo, il bisogno di guardare oltre.

Privati delle nostre certezze (o delle nostre plausibili incertezze), cerchiamo di fare piani ed elaborare programmi. Disorientati dall’anomalia della situazione, proviamo a tracciare nuovi confini, entro i quali collocarci in qualche modo. Insomma, capitoliamo e, sì, facciamo previsioni.

La prima scelta è da che parte stare: tra quelli per cui “tutto cambierà” o tra quelli per cui “dopo un po’ si tornerà come prima”?
Un po’ doroteanamente, mi posizionerei nel mezzo: questa situazione ha accelerato cambiamenti che probabilmente sarebbero avvenuti comunque, magari in tempi molto più lenti, e alcuni di questi saranno irreversibili. Certe professioni e certi mercati saranno più colpiti di altri (in senso positivo o negativo).

Penso che il cambiamento più forte che registreremo è una nuova disponibilità al cambiamento: la pandemia ha avuto un effetto destabilizzante, ha messo in discussione convinzioni che davamo per assodate; abbiamo imparato a fare a meno di cose che ci sembravano indispensabili e a scoprire l’essenzialità di cose che consideravamo superflue.

Questo credo semplificherà un po’ la vita agli innovatori: potranno sempre dire “vi ricordate come si stava prima del Covid? E quanto siamo cambiati in pochi mesi?” La disposizione a immaginare qualcosa di diverso è la prima condizione per realizzarlo.
In ogni caso, ricordarsi sempre che “fare previsioni è molto difficile, soprattutto quando riguardano il futuro” (N. Bohr).

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