fbpx
Back to top
Rocinha, storia di una volontaria sul campo

Di Francesca Bongiovanni, consultant di a|change

La onlus Il sorriso dei miei bimbi da più di vent’anni porta avanti progetti di educazione ed inclusione sociale nel cuore della favela di Rocinha, a Rio de Janeiro.

L’associazione, fondata da Barbara Olivi nel 1992 e radicata da allora nel territorio, promuove diverse iniziative per rispondere ai bisogni della comunità, nel contesto di un clima complesso e spesso violento come quello della più estesa favela del Sudamerica, nota alle cronache internazionali per la spietata storia di guerra tra narcotrafficanti e polizia.

Il primo progetto della Onlus è stato la Scuola dell’infanzia “Saci Sabe Tudo”, per poi proseguire con la “Casa Jovem”, rinforzo scolastico per adolescenti, e il Progetto Aldeia di sostegno psicologico. Ha inoltre aperto il primo caffè letterario di Rocinha, ilGaragem das Letras, uno spazio eclettico che è diventato punto d’incontro della comunità, allo stesso tempo bar, biblioteca e centro culturale, in cui si svolgono corsi di lingua ed eventi aperti a tutti.

La Rocinha

La Rocinha è come una città dentro la città: anche se un censimento ufficiale è impossibile, si stima che abbia oltre 250 mila abitanti, concentrati sulle pendici della montagna Dois Irmãos, accanto ai ricchi quartieri di Gavea e Sao Conrado, i cui grattacieli si stagliano a pochi metri dal suo confine, creando un contrasto che è uno spietato simbolo della diseguaglianza sociale in Brasile.

Sorta nel 1930 a partire da un insediamento di immigrati provenienti dal nord-est del paese, negli anni si è estesa in maniera incontrollata: oggi è una distesa di case affastellate le une sulle altre, la maggior parte semplici baracche costruite con legno e materiali di recupero, vicoli strettissimi che si incrociano disegnando labirinti che Google Maps non può decifrare, allacciamenti abusivi ad elettricità e linea internet stretti in enormi grovigli che i pochi turisti si fermano esterrefatti a fotografare, attività commerciali di ogni tipo, moto-taxi che sfrecciano.

La povertà urbana nella favela esibisce senza pietà tutte le sue facce: l’assenza di un sistema fognario trasforma le strade in una giornata di pioggia in scoli a cielo aperto, le condizioni igieniche precarie e il sovraffollamento delle abitazioni portano al diffondersi di malattie infettive come colera e tubercolosi.

Fino a dieci anni fa, Rocinha è stata uno dei più importanti mercati di spaccio del Paese. É segnata da una storia di narcotraffico e guerra – guerra tra bande, guerra tra bande e polizia – che, in tutte le forme in cui si è presentata, ha causato la morte di migliaia di innocenti.

Da circa dieci anni è – in teoria – una favela “pacificata”: nel 2011, dopo mesi di conflitti armati, è avvenuto l’insediamento della “Policia Pacificadora” (UPP). L’operazione si è svolta nell’ambito del piano della Segreteria Statale di Sicurezza Pubblica di Rio, volto allo smantellamento delle reti di narcotraffico nelle principali favelas della città, per dare a quest’ultima un aspetto più “accettabile” in vista dei Mondiali di calcio del 2014 e dei Giochi Olimpici del 2016. L’obiettivo era quello di estirpare le bande (il Comando Vermelho è quella più radicata a Rio) con un attacco massiccio e insediare una forza permanente che, nelle intenzioni, avrebbe intessuto un rapporto con la comunità, portando a poco a poco i servizi pubblici, a partire dalle reti fognarie fino ai trasporti. Tutto questo è avvenuto in minima parte: la polizia insediatasi è corrotta e violenta, e ancora oggi i bandidos svolgono le veci di un’amministrazione informale, eliminando la piccola criminalità, dispensando una giustizia sommaria, finanziando le feste baile funk che si svolgono ogni fine settimana.

La mia esperienza sul campo

Per un mese sono stata volontaria dell’associazione sul campo.

Mi sono rimaste nei pensieri tante cose. Le radici lontane di una diseguaglianza urbana che non ha una consolazione, né una fine, né una speranza di riscatto. L’immagine violenta di una città dove si alternano senza interruzione palazzi coloniali e baraccopoli. La difficoltà di uscire, anche solo fisicamente, da quello che è toccato in sorte: la maggior parte degli abitanti di Rocinha non ha visto molto al di fuori della favela, e d’altra parte la maggior parte dei carioca non ha mai messo piede in nessuna delle mille favelas di Rio. Il diritto di far parte della città valido a tratti – qualche metro prima sì, se giri l’angolo non più. Un destino che ha le forme di una condanna. Tante domande e nessuna vera risposta.

Ma, al di sopra di tutto e dall’altra parte del mondo, capire cosa significhi comunitade: gli abitanti di Rocinha sono come un corpo unico, un’umanità viva e fiera, che sfida la mancanza di tutto intessendo legami di mutuo supporto. Ovunque andassi – lungo una trama caotica di muri in costruzione, perché le case nella favela non sono mai del tutto ultimate: puoi sempre aggiungerci un piano – risuonava il continuo vociare di persone che da una parte all’altra dei vicoli si chiamavano gridando “Oi!”. Ovunque mi girassi, trovavo esempi di accoglienza, spontaneità e amicizia che rendono la miseria meno misera, la povertà meno assoluta, un churrasco improvvisato un’occasione di festa per tutti quelli che passano, pronti a dare una mano.

 

   

 

Per approfondire

Film:

Libri:

Musica:

d
Follow us