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Si fa presto a dire impatto. Valutazione e cultura, cultura della valutazione.

Di Erica Melloni – Senior manager di a|change

Si fa presto, ma poi le cose diventano più difficili: chi inizia a valutare l’impatto spesso si confronta con un certo grado di indeterminatezza – e talvolta opacità – delle iniziative da valutare. Si accorge che i propri obiettivi non erano tanto chiari, o parziali, talvolta persino inappropriati. Allora la valutazione serve non tanto a verificare gli esiti quanto a ricucire la pianificazione, precisando, sottolineando, completando quanto altrimenti non sarebbe chiaro abbastanza. Inoltre, l’impatto non è quasi mai il frutto di uno sforzo individuale ma plurale, collettivo: la valutazione serve ad allineare le conoscenze ed aspettative degli attori coinvolti, che spesso sono molto diverse tra loro e persino in conflitto.

La valutazione può accompagnare e supportare il convergere delle posizioni, renderle più trasparenti, farle confrontare e crescere, chiarendo gli assunti di fondo e i criteri di giudizio.

Perché tutto ciò ha a che fare con la cultura?

In primo luogo, perché quello culturale è un settore in cui c’è bisogno di valutazione, sia per migliorare le politiche culturali (cosa fare e come farlo), sia per creare consapevolezza attorno al contributo che la cultura offre di per sé e al di fuori del perimetro culturale in senso stretto.

In secondo luogo, perché anche la valutazione è cultura: cultura del dato, del confronto sociale trasparente, della ricostruzione corretta dei legami tra i fenomeni, del miglioramento a partire dall’analisi dei problemi e dei risultati. Il settore culturale può avere un ruolo pedagogico e di esempio per una crescita complessiva della comunità da questo punto di vista, come argine alla semplificazione e al populismo.

Ma come si valuta l’impatto della cultura?

Il compito non è facile ma vi sono ormai molte esperienze che mostrano piste di lavoro, approcci e strumenti.

Innanzitutto, per fare impatto serve una politica culturale ‘ad impatto’, che mostri l’intenzione di produrre cambiamento in alcune dimensioni cruciali. La ricognizione o il riordino delle strategie intenzionali, promosse da uno o più attori culturali, è dunque il punto di partenza.

Essere espliciti è difficile ma anche indispensabile: vi sono iniziative culturali che mirano a sollecitare il dibattito e la riflessione tra esperti, altre che intendono coinvolgere persone che normalmente non metterebbero piede in un museo; progetti che utilizzano il messaggio culturale come strumento di inclusione sociale, altri che ne sottolineano la portata economica per l’indotto e per il turismo, fino all’impatto ambientale di manifestazioni culturali finalmente sostenibili. Ancora, la cultura può avere un effetto su dimensioni strettamente individuali, ad esempio sull’educazione, sul benessere e persino – come tanti studi oggi dimostrano – sulla salute; o incidere sulle dinamiche sociali di una comunità più ampia, promuovendo valori, peraltro non sempre condivisi. Pensiamo all’integrazione sociale, all’equità di genere fino al patrimonio culturale ‘contestato’ in quanto espressione di valori non più accettati da una parte della società.

Questi impatti positivi e negativi sono plausibili, largamente documentati ma non scontati: perché siano credibili vanno ricostruiti, e qualunque attore culturale dovrebbe avere interesse a farlo. A patto di utilizzare metodi appropriati.

L’utilizzo di metriche è importante, perché i numeri offrono una sponda indispensabile per qualunque attività di riflessione e giudizio. Ma le metriche devono sostenere e non sostituirsi alla riflessione e al dialogo attorno e a partire dai dati. Se c’è una convinzione sbagliata, è che i dati parlino da soli. Non è vero: i dati vanno fatti parlare, spiegati, contestualizzati ed interpretati. I dati sono prodotti sociali e per questo devono essere discutibili, cioè oggetto di dibattito e confronto.

La valutazione di impatto nel settore culturale sta prendendo piede ma soffre di due pericolose tentazioni.

Il rischio di riporre eccessiva fiducia su strumenti valutativi sintetici

Riporre eccessiva fiducia su strumenti valutativi sintetici che suggeriscono di quantificare l’impatto culturale con proxy monetarie è una tentazione molto diffusa negli Stati Uniti e che da noi trova spazio in particolare in alcuni settori più sensibili alla necessità, peraltro del tutto legittima, di attrarre finanziatori e investitori a sostegno degli scopi sociali dell’organizzazione culturale.

Il Social return on investment (SROI) ha avuto il merito di sollecitare l’interesse delle organizzazioni a valutarsi e a utilizzare la valutazione come strumento di accountability. La sintesi che ne deriva (la ratio che mette a confronto gli euro investiti con gli euro di valore sociale prodotto) è particolarmente appetibile per solleticare l’attenzione di quei destinatari abituati a dati e giudizi di tipo economico-finanziario.

Questo vantaggio ha però delle implicazioni negative, sia in termini di eccessivo riduzionismo sia di opacità del processo di valutazione. In altre parole, è davvero necessario tradurre in termini monetari quanto ‘vale’ l’esperienza di visita di un museo da parte di un bambino? E cosa insegna una valutazione di questo tipo? Non è forse più importante esplorare i complessi meccanismi che queste esperienze possono sollecitare, per imparare come renderle più profonde, ricche, diffuse?

È probabilmente utile cercare di orientare la comunicazione verso i finanziatori con forme più raffinate di valorizzazione delle politiche culturali, in grado di tollerare l’esistenza di ambiti di impatto incommensurabili ma non per questo meno importanti. Metodi e tecniche devono essere in grado di cogliere queste specificità, non appiattirle, supportando la visione strategica delle politiche culturali.

Il rischio di fare della valutazione di impatto una questione esclusivamente organizzativa

La seconda tentazione (che peraltro deriva dalla precedente) è quella di fare della valutazione di impatto esclusivamente una questione organizzativa e, in quanto tale, priva di rapporti e interdipendenze con l’esterno.

Le politiche culturali hanno una enorme, e forse non completamente esplorata, portata intersettoriale: cultura e ambiente, cultura e economia, cultura e sport, cultura e salute, cultura e integrazione sociale e forse molte di queste cose insieme.

Gli attori che promuovono politiche culturali di frontiera possono oggi far sentire la propria voce anche valutando l’impatto congiunto di strategie culturali integrate.

È un’opportunità, quella della valutazione integrata delle politiche culturali, che può essere esplorata da coalizioni di attori particolarmente interessate a rafforzare le strategie di rete anziché dei singoli, promuovendo così dibattito e conoscenza.

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