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“Where learning happens”: l’educazione come politica urbana

“Where learning happens”: l’educazione come politica urbana

di Claudio Calvaresi, principal a|place

Osserviamo fenomeni, avviciniamo esperienze, analizziamo politiche, che richiamano la relazione tra educazione e città. Il tasso di abbandono scolastico è di norma più elevato nelle periferie rispetto alle parti centrali delle città, si presenta con intensità differenti tra città diverse, all’interno della stessa area metropolitana, nel Centro Nord o nel Mezzogiorno. Quartieri svolgono con efficacia la funzione di “comunità educante”, perché hanno scuole, operatori, associazioni, gruppi, famiglie, ragazzi, in grado di lavorare in rete.

Il contrasto all’esclusione sociale si fa agendo sulle capacità delle persone, prestando particolare attenzione ai quartieri difficili. Il territorio però non è solo il contesto dove i fenomeni si manifestano, lo spazio favorevole alla nascita di certe pratiche, il bersaglio per iniziative area-based.
I posti contano, ma qualcosa di più radicale è in gioco: il nesso educazione-città definisce un campo di policy specifico, dove agiscono nuovi attori ed è possibile costruire nuove poste in gioco, alterando schemi di interazione consolidati e favorendo connessioni inusitate tra problemi e soluzioni.

Nuovi attori ridefiniscono la propria azione attorno a questo nesso, consapevoli che innovazione e sostenibilità si promuovono via apprendimento sociale: community hub promuovono e praticano percorsi di apprendimento non formale; ci sono scuole che cercano nella città un campo di sperimentazione per nuove pratiche educative; operatori del terzo settore vanno oltre la comfort zone dell’erogazione di servizi in regime di accreditamento; alcuni atenei esercitano una versione avanzata della terza missione; fondazioni vi vedono un campo per abilitare la agency di nuovi operatori; imprese tentano di farsi attori di politiche pubbliche; enti locali intendono sperimentare azioni integrate.

Per noi la posta in gioco è coltivare, nelle persone, la “capacità di aspirare”, organizzando contesti di apprendimento nei quali il corpo della città è corpo docente: si apprende nella città, ma si apprende soprattutto attraverso la città, con gli occhi della città e avendo la città negli occhi. Non si apprende quando c’è qualcuno che insegna, ma quando qualcuno (o qualcosa) ci sollecita ed entra in una relazione con i nostri interessi: così si innesca l’apprendimento.

Per noi la posta in gioco è costruire nuovi spazi di apprendimento, nei quali favorire la produzione di conoscenza utilizzabile e la sua messa alla prova, il rendersi capaci a vicenda, sostenendo le persone nel formare e testare le proprie capacità attraverso l’esperienza. È favorire la presa di parola pubblica all’interno di processi di rigenerazione urbana e inclusione sociale, coniugando education e advocacy. È sviluppare, della conoscenza, la sua capacità istruttoria dell’azione.

In questo modo, si può produrre innovazione. Lo sappiamo: l’innovazione non è semplicemente ciò che avviene grazie al mutamento, ma è «l’incremento di forme di razionalità sociale e politica che risulta tale, alla fine, agli occhi di attori interessati, […] è efficace solo se è apprendimento» (C. Donolo, F. Fichera, Le vie dell’innovazione, Feltrinelli, 1998, p. 23).

Per chi ha voglia di sperimentare, il Bauhaus è un riferimento.

Il Nuovo Bauhaus Europeo è l’Iniziativa della Commissione che intende sostenere una nuova idea di abitabilità della città. Invita a dare spazio all’immaginazione sociale per costruire un futuro sostenibile e inclusivo. Ha lo scopo di rendere il Green Deal una sfida tangibile e positiva sotto il profilo culturale e umano. Per questo, lancia un movimento che favorisce lo scambio di conoscenze tra discipline e campi di azione diversi, tra arte e welfare, tra scienza e educazione, tra cultura e tecnologia.

Noi vi vediamo una straordinaria opportunità per dare sostanza all’idea dell’educazione come politica urbana.
Abitare, produrre, scambiare, muoversi possono essere pratiche generative di apprendimento. La città, ancor di più nel nuovo regime climatico, non è solo il posto dove allestiamo i nostri piani di vita, che abitiamo (più o meno facilmente), ma ha una sua agency, ci abita.

Il riferimento al Bauhaus indica un modello educativo ancora oggi attuale. Ci dice che non basta l’outdoor education, se l’indoor rimane inalterato; che fare la scuola fuori dalla scuola è operazione monca, perché occorre invece far fuori i modelli didattici che non prevedono apprendimento nel corso dell’esperienza, perché l’educazione formata al di fuori o in assenza della dimensione pratica è inservibile; che occorre favorire una conversazione riflessiva tra le proprie aspirazioni e lo spazio che le accoglierà, facendole interagire con gli altri fatti del mondo, per verificarne la consonanza o misurarne la dissonanza, aprendo così a più fertili corrispondenze; che la formazione come acquisizione di competenze e di metodi serve a coloro che la impartiscono, ma è fuorviante per coloro che la ricevono; che è tempo di collocarsi sul crinale tra education e advocacy, per trasformare il desiderio di apprendere nel proposito di prendere parte e di intraprendere.

Il nuovo Bauhaus dovrà fare i conti con Covid-19, che ci ha gettato in una nuova condizione nel nostro rapporto con la città. La pandemia ha investito pesantemente gli spazi dedicati, quelli specializzati attorno ad una sola funzione, rendendoli inservibili: le scuole come le palestre, le RSA come i teatri. Ci costringe a ripensarne il modello di funzionamento, i tempi e i modi della loro fruizione e, di nuovo ancor più radicalmente, la teoria che ne sta alla base, quella che Antonio Tosi definì la “teoria amministrativa dei bisogni”.

Come non possiamo pensare di ospitare gli anziani fuori dalle residenze assistite continuando a praticare un modello di assistenza fondato sulla dipendenza, praticare sport nei parchi con le stesse regole e pretendendo l’analogo livello di prestazioni consentito dagli impianti dedicati, immaginare il teatro come pratica sociale senza mettere in discussione la nozione di spettacolo, così non possiamo pensare la scuola continuando ad affermare gli stessi modelli didattici.

In tal modo rimarremo prigionieri del rassicurante set cattedra-banco, che garantisce controllo, disciplina e assenza di autonomia, cercando di replicarlo in qualunque altro spazio disponibile nella città.

La scuola fuori dalla scuola diviene così la stessa scuola di prima, svolta però all’esterno del plesso scolastico.

Il nuovo Bauhaus si presenta come una sollecitazione alla interdisciplinarietà, alla promozione di progetti che siano all’incrocio di più discipline. A noi piace interpretarlo, di nuovo più radicalmente, come progetto di attraversamento delle discipline. Per essere fertile, deve invitare a praticare il trespassing, a costruire campi di ricerca e di intervento che prescindono dalle discipline e le tradiscono. Per essere efficace, dovrà sostenere pratiche ibride e favorire la nascita di un movimento per la de-istituzionalizzazione dello spazio urbano.

È, a nostro avviso, una pratica dell’osservazione e dell’azione; un invito all’esplorazione della città, a farsi attraversare dalla sorpresa; una promessa e una disponibilità per nuove pratiche educative. Ci interessa e vogliamo interpretarlo come una sfida da raccogliere, che riguarda la costruzione di comunità di apprendimento nella e con la città.

La vita può riservarci la fortuna di incrociare maestri, che lo sono perché insegnano senza aver l’aria di farlo. Paolo Fareri era un maestro. A lui devo la scoperta di questo brano, un riferimento inevitabile per lavorare sul nesso educazione-città.

The best learning happens by surprise; it is very different from the normal process of deliberate education. By watching young children happening to learn, it is still possible to sense what learning might be. Surprising things happen in cities, although frequently their people, places and events are predictable. The routine business of life demands some regularity and enforces it through selective attention to what supports our efforts. But often, when we have “nothing better to do”, when we are waiting, in transit, on vacation, just hanging around – or even occasionally, when we are busy with our tasks – cities surprise us. A particular scene – a place, the people in it, what they are up to – suddenly comes into focus. We see it as if for the first time.

– Stephen Carr, Kevin Lynch, “Where Learning Happens”, Daedalus, Vol. 97, n.4, Fall 1968.

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